Cesare Pavese è stato, e continua a essere, presso le nuove generazioni uno degli autori più amati della nostra letteratura del Novecento. Uno straordinario narratore, un grande poeta. Ma anche un uomo dalla personalità fragile, segnato da solitudine e drammi intimi che hanno lacerato la sua esistenza. Forse la vita dello scrittore piemontese è stata il suo peggior romanzo, piena di ripensamenti, di tormenti, di dubbi di amori mai iniziati o finiti male, di travagliate crisi spirituali e di pessimismi spesso ingiustificati. Ma seguiamo ora passo dopo passo, i vari momenti della vita dello scrittore e poeta, un personaggio singolare e dal destino avverso. Cesare Pavese nasce il 9 settembre 1908 nella cascina di San Sebastiano a Santo Stefano Belbo, paesino nelle Langhe in provincia di Cuneo. Il padre, Eugenio, cancelliere presso il Palazzo di Giustizia di Torino, si trasferisce ben presto con la famiglia nel capoluogo piemontese; ma le rievocazioni e il fascino delle colline piemontesi e il legame con la terra nativa delle Langhe resteranno sempre simboli nella memoria e nella prosa attenta e precisa del futuro scrittore. Nel 1914, quando Pavese era ancora bambino, gli muore il padre, stroncato da una morte precoce, per un tumore al cervello. La morte del padre sarà la causa del primo forte dolore che inciderà sull’indole del ragazzo, già per natura introverso e taciturno. Gli accenni agli anni dell’infanzia di Pavese sono pochissimi e rapidi. A Torino il ragazzo dopo la scuola elementare, frequentò le scuole medie e in seguito si iscrisse al liceo classico “Cavour”. Già nel periodo ginnasiale iniziò ad appassionarsi alla letteratura e i suoi primi autori di riferimento furono Guido da Verona e Gabriele D’Annunzio. La sua iniziazione alla scrittura è precoce. In quel periodo risalgono, poco più che esercitazioni, alcune poesie in un tardo romanticismo adolescenziale. Altro evento importante per Pavese è l’ingresso nell’ottobre del 1923 al liceo classico Massimo d’Azeglio di Torino, dove avrà come professore d’italiano e latino Augusto Monti, maestro di critica e di estetica crociana, un uomo destinato a incidere profondamente nella vita e nell’itinerario narrativo del futuro scrittore piemontese. Nel 1926 conseguita la maturità liceale, Pavese si iscrisse alla facoltà di Lettere e Filosofia dell’Università di Torino, dove il 20 giugno del 1930 si laurea discutendo la tesi di laurea “Sulla interpretazione della poesia di Walt Whitman” con Ferdinando Neri. Negli anni successivi inizia a scrivere racconti e saggi critici e legge molto soprattutto poeti e scrittori americani. La cultura di tutto il mondo era allora rivolta all’America. Gli italiani si appassionavano a vedere i film western,quelli comici di Charlot, i cartoni animati di Disney che tremolavano sullo schermo e le storie di gangsterismo. Si ballava il charleston, si ascoltava la musica jazz; e la scoperta della cultura d’oltre Atlantico era diventata una sorta di grande laboratorio dove nasceva il nuovo cosmico linguaggio dal gusto libero e moderno del mito e della realtà americana. Per guadagnarsi da vivere il giovane Pavese impartiva magre supplenze in scuole serali e private fuori Torino. Cesare sognava e sperava di andare nell’idolatrata America per uno sbocco e carriera dei suoi studi, ma i tentativi di ottenere una borsa di studio alla Columbia University falliscono ben presto e in America non si recherà mai. Continuava intanto la traduzione in modo sistematico di testi americani che, oltre a dargli gradite occasioni di scrittura, gli aprivano nuovi orizzonti culturali. Pavese leggeva molto per consueta passione, approfondendo e meditando. Oltre a Vico e a Leopardi, leggeva e rileggeva con voracità Rousseau, Baudelaire, Rimbaud. Schopenhauer, Nietzsche, Kafka e lo incantavano il suo amato Shakespeare, Jung e Kirkegaard. Nel 1931 muore la madre. E’ un altro solco doloroso nella già triste esistenza di Cesare, che diviene ancor più solitario. Negli anni successivi inizia a pubblicare liriche e traduzioni di saggi di scrittori americani. Pavese ha già dentro di sé le armi letterarie e la movenza poetica per il suo raccontare, quelle armi che riusciranno per quasi un trentennio a dargli un ‘intensa produzione intellettuale, arricchendola di nuove prospettive narrative. Si interessa di vari scrittori italiani e moderni americani e manifesta apertamente un’improvvisa simpatia e grande ammirazione per una città, Torino, che stava cambiando tessuto e volto urbanistico: da città barocca e provinciale in centro urbano animato dal numerosi immigrati, attratti dallo sviluppo dell’industria automobilistica e dallo sfondo di quella cinematografica. E sull’amore vibrante di Pavese per Torino, fredda e nebbiosa, dominata dalla Mole Antoniana, non priva di un’atmosfera mediterranea, chiaramente proletaria e disinvolta, non si possono avere dubbi; una città cresciuta vivacemente in breve tempo, contrassegnata dalla nascita di autorevoli giornali e fermenti culturali-politici come quello di Antonio Gramsci e Piero Gobetti che con altri intellettuali reagivano per la difesa della libertà cui stava attentando con forzatura il fascismo. Nel 1933 nasce la casa editrice Einaudi. Pavese vi partecipa per l’amicizia che lo lega a Giulio Einaudi e continua traducendo testi americani (Melville, Joyce) svolgendo un ruolo fondamentale nell’introdurre la cultura americana in Italia. Ma quell’anno resta importante per Cesare Pavese soprattutto perché segna il fatale incontro e la profonda passione per una donna, detta Tina (all’anagrafe Battistina Pizzardo), una energica e sportiva giovane di buona famiglia borghese cattolica, laureata in matematica e fisica, ma già condannata a un anno di reclusione e a tre ammonizioni per aver aderito al Partito Comunista clandestino. La donna, che aveva qualche anno più di Pavese, sembra attratta da quell’uomo intellettuale,non privo di avvenenza e galanteria, che le chiede implorante in ginocchio di volerlo sposare; Tina rimane stordita dalla dichiarazione d’amore, poi con un imprevisto ripensamento decide di respingerlo senza pietà e di concedergli solo un’affettuosa amicizia. Il timido Pavese non si rassegna, non intende perderla, non molla la presa e continua a vederla. Un’imprudenza e un’imperdonabile leggerezza che fa insospettire la polizia fascista. Sospettato di frequentare gruppo di intellettuali antifascisti, per motivi politici, dopo una perquisizione Pavese venne arrestato insieme ad altri amici. Dopo alcuni mesi di carcere (alle Nuove di Torino, in quello romano di Regina Coeli ed infine in quello napoletano di Poggio Reale) Pavese viene processato. Egli mantiene il silenzio ostinato di sempre, con dignità e fermezza. Anche quando gli leggono la sentenza che lo condanna a tre anni di confino, non solleva la testa. Con il suo contegno, chiuso e schivo, non tradisce neppure con uno sguardo la sua emozione. Pavese non un era sovversivo politico, non apparteneva a nessun gruppo, si manteneva estraneo alla retorica fascista, era solo un uomo innamorato di Tina. La località del confino è Brancaleone, un paese geograficamente identificabile in fondo allo stivale; arriva alla stazione ferroviaria la domenica pomeriggio del 4 agosto 1935, in manette accompagnato da due carabinieri. L’ esperienza del confino ispirò allo scrittore piemontese il breve romanzo Il Carcere, un racconto fortemente nutrito di elementi autobiografici. Vi si narra la vicenda di Stefano, un ingegnere del Nord,del quale sappiamo pressoché nulla del suo passato, confinato in un paesino del meridione, per motivi politici. In apertura del romanzo il Carcere, non mancano i contatti umani del protagonista Stefano che proprio in riva al mare incontra un giovanotto atletico, bruciato dal sole con cui familiarizza subito e ha lunghi colloqui. “Era un giovane bruno e muscoloso, una Guardia di Finanza dell’Italia centrale. Parlava con un accento scolpito che piaceva a Stefano, e ci vedevano qualche volta in osteria. Pierino era il suo nome”. Il romanzo va avanti e nelle altre pagine affiorano i sentimenti e pensieri di Stefano e i contatti umani con la gente di quel paese antico: il maresciallo dei carabinieri, le donne che parlano quasi con una cadenza ellenica, le movenze di una servetta scalza erta sui fianchi e di vitalità selvatica, il misterioso anarchico confinato in montagna, il prete e giovani. I tre anni di confino, inflittogli dal regime fascista nel 1935, si ridurranno, in realtà, a meno di uno: la sua buona condotta e il precario stato di salute (Pavese è tormentato da una forte asma bronchiale) danno esito positivo alla richiesta di grazia da lui avanzata direttamente a Benito Mussolini. Il ritorno nella casa di Torino coincide tuttavia con una nuova delusione: l’abbandono da parte della donna dalla voce rauca “Tina” che si unisce in matrimonio con l’ingegnere Henek Rieser,un ebreo polacco di fede comunista. Un dispiacere amoroso che fa sprofondare Cesare in una cupa depressione. Sarà la tragedia che inciderà maggiormente sul fisico ed anche sulla sorte dello scrittore. Chinato sul suo lavoro con la testa tra le mani Cesare confessa che davanti a ogni doloroso imbarazzo affiora l’idea ossessiva del suicidio. A salvarlo sono gli amici che conoscono la sua fragilità e cercano di proteggerlo. Deluso e amareggiato, ma al momento non vinto, riesce ancora una volta ad immergersi in un’attività letteraria ed editoriale quasi frenetica e martellante (forse l’unico modo che conosceva per sentirsi vivere) che, nei decenni successivi, gli farà conquistare vette appaganti con la pubblicazione di opere come Paesi tuoi, che non solo rivelò Pavese narratore, ma fissò la nascita del neorealismo, di cui fu maestro e divulgatore. Nel romanzo, considerato dalla critica come uno dei più belli di Pavese, con capitoli tutti più o meno della stessa dimensione, con evocazioni vagamente dialettali, vengono ritratti i drammi e i problemi della gente della campagna piemontese. Oggi il romanzo rappresenta il risultato dell’allargamento della cultura italiana, di cui Pavese con Vittorini fu uno dei maggiori protagonisti attraverso l’introduzione in Italia della narrativa anglo-americana realistica. La sua aspirazione narrativa è avvalorata poi con gli anni dai continui successi editoriali (La luna e i falò; Dialoghi con Leucò; Il Compagno; Il mestiere di vivere; Verrà la morte e avrà i tuoi occhi; Prima che il gallo canti) che gli procurano, tra l’altro occasioni d’incontro destinate ad alimentare la mai sopita speranza in un fatale innamoramento. Così è per l’avvenente Fernanda Pivano, una sua ex allieva, giovane ricca di interressi culturali; così per Bianca Garufi, ventisettenne siciliana dotata di vivida intelligenza. Ad entrambe Cesare non esita a chiedere con il suo fare timido e imbarazzato, di sceglierlo per marito, spinto dall’idea di un legame definitivo e sancito dalla speranza di un regolare matrimonio,che, purtroppo non troverà mai. Da entrambe riceve un cortese rifiuto. Rimasto solo a dibattersi con i suoi fantasmi, immusonito e risentito per l’assommarsi di una doppia delusione amorosa, si trasferisce a Roma per motivi editoriali dove conosce nel Capodanno del 1950 a casa di amici una giovane attrice americana, Costance Dowling, giunta a Roma con la sorella Doris, che aveva recitato nel film Riso Amaro con gli attori Vittorio Gasmann e Raf Vallone . Cesare in quella occasione fu colpito dalla bellezza e dalla accesa sensualità di Costance e se ne innamorò subito. E’ per lui, ancora una volta, l’inafferrabile amore, forse l’illusione di vincere finalmente il ricordo dell’altra. Come la donna della “voce rauca” anche l’attrice americana, mossa curiosamente solo da interessata ammirazione per lo scrittore famoso e raffinato conoscitore di letteratura americana, lo abbandona presto per tornare negli Stati Uniti promettendo di scrivere, invece non si farà più viva. Quell’abbandono, da parte dell’americana bionda, quello scacco amoroso fu per Pavese il motivo del suo lento e triste cedimento in una angoscia esistenziale. Forse Cesare amava le donne sbagliate. Questo fu l’ultimo anello di una catena di incomprensioni e di sconfitte che avevano purtroppo costellato la sua intera vita. Quell’estate fu fatale per Pavese. Temendo che la propria vita non sia più capace di realizzare valori Pavese prepara lentamente il gesto assurdo del suicidio, l’ultimo atto della vita a conclusione di una serie di sconfitte. La sera del 27 agosto 1950 un cameriere di uno dei più noti alberghi di Torino – Hotel Roma- situato sotto i portici di piazza Carlo Felice, nelle vicinanze della stazione di Porta Nuova, trova nella stanza numero 43 dell’albergo il corpo senza vita di Cesare Pavese (che l’ aveva occupata il giorno prima) disteso sul letto senza la giacca e le scarpe. Una mano sul petto e l’altra a penzoloni. Cesare aveva gli occhi chiusi e il volto rilassato. Sembrava dormire. Non c’era più nulla da fare. Sulla mensola del lavabo, mute testimoni del folle gesto, le bustine di sonnifero, circa una ventina, ingoiate dalla scrittore in un momento di sconforto per non svegliarsi più; sul comodino una copia dei Dialoghi con Leucò, dove sulla prima pagina un’annotazione dello scrittore in forma spicciola “ Perdono a tutti e a tutti chiedo perdono. Va bene? Non fate troppo pettegolezzi”. All’interno del libro era inserito un foglietto con tre fasi vergate da lui, in cui si riflettono con maggiore evidenza i pensieri e i sentimenti di Pavese. Qualche giorno dopo si svolsero i funerali civili, senza commemorazioni religiose, poiché suicida ed ateo. Pavese resta uno scrittore sempre più europeo, uno scrittore che trae forza dalle sue stesse contraddizioni, che ci ha lasciato nella struttura narrativa pagine di straordinario valore letterario ed umano. Su Pavese sono usciti molti libri, saggi biografici ed opere che hanno ispirato lavori cinematografici e che non mancano mai di stupirci.
Di Carmelo Calabrò
(Fonte: http: //www.milanopost.info/2014/04/14/cesare-pavese/ )
Bibliografia di Riferimento
Lorenzo Mondo “Quell’antico Ragazzo” vita di C. Pavese, Ed. Rizzoli 2006 Milano, Bona Alterocca “ Cesare Pavese” Vita e opere di un grande scrittore sempre attuale” Editore Musumeci- Quart (Aosta) ed.1985; Davide Lajolo “Pavese” Rizzoli Editore, Milano ed,1984 Roberto Gigliucci “Cesare Pavese”Biblioteca degli scrittori,Paravia Bruno Mondadori ed. 2001 Milano, Vittorio Stella “L’elegia Tragica di Cesare Pavese” Ed. A. Longo Ravenna 1969.