SANTA MARIA DI TRIDETTI (STAITI)
Scoperta dal grande Archeologo Paolo Orsi nel 1912 è uno dei monumenti più belli ed interessanti di tutta la costa jonica reggina, si trova in territorio di Staiti, si tratta di Santa Maria di Tridetti, chiesa normanna di stile basiliano con reminescenze arabeggianti. Accostata ad un cenobio ormai perduto del quale fino a poco tempo fa si intravedevano i ruderi , con muri e pavimentazione.
Al turista, l’edificio dichiarato “Monumento Nazionale e datato XI secolo”, si presenta dal lato posteriore. La facciata principale è rivolta verso la montagna coperta da elici e querce. Nel suo insieme la Chiesa presenta un’architettura in cui convergono una serie di elementi di diversa derivazione:
– Greche. (per l’arco a sesto acuto che divide la navata del presbiterio, le finte colonne ai lati dell’abside, le due porte laterali destinate all’ingesso dei fedeli separati per sesso, e la mancanza di sculture;
– Arabe: (per la forma acuta dell’arco trionfale)
– Bizantine: (per le decorazioni con laterizi)
L’abbazia di Tridetti viene menzionata la prima volta nel 1060 quando il Conte Ruggero d’Altavilla dispose l’assegnazione di parte delle rendite della badia al Capitolo di Bova dal quale la stessa dipendeva. Staiti come tutti i paesi della zona subì importanti terremoti, come quello del 1659, del 1783 e successivi 1907 e 1908, i primi due terremoti sono stati considerati dei veri flagelli tanto da non lasciare traccia degli antichi palazzi- ed è un miracolo che la chiesa di Tridetti abbia superato tali calamità.
ROCCA ARMENIA (BRUZZANO ZEFFIRIO)
Bruzzano antico sorge nei pressi della omonima fiumara , su terreni argillosi di varie formazioni e genesi. Mentre il castello conosciuto come “Rocca Armenia”, è sito su una formazione di arenarie staccatesi dalla formazione di Ferruzzano ed ora in scivolamento verso sud ovest.
Bruzzano probabilmente ha avuto la stessa genesi di Brancaleone, ubicato anche questo su una rupe di arenarie mioceniche, proprio in mezzo alle paludi e ad un fiordo che consentiva la navigazione fino a Motticella.
Le antiche cartografie riportano pantani e un isolotto a forma di ferro di cavallo davanti alla foce del fiume. Alcune note sostengono che in periodo romano ci fosse stata una grande salina.
Il nome “Armenia” probabilmente viene dalle truppe Armene che a seguito di Niceforo Foca il nonno , giunsero qui per il controllo dell’avanzata araba. La tipologia del primo castello è simile a quello di Brancaleone, e ai vari castelli armeni ubicati anche in Georgia.
Bruzzano nell’antichità ha assunto un ruolo importante tanto da essere nominato “Stato dei Principi Carafa”.
Nel 1807 era già Luogo, ossia Università, mentre nel 1811, il decreto istitutivo dei Comuni , lo riconosceva tra quest’ultimi con giurisdizione sul villaggio di Motticella e, l’assegnava al circondario di Staiti. Nel 1863 assunse l’attuale nome di Bruzzano Zeffirio. Danneggiato dai terremoti del 1905 e 1908, ricostruito completamente dopo il terremoto del 1908 e spostato di qualche km verso il mare rispetto al paese originario.
I PALMENTI DI FERRUZZANO (FERRUZZANO)
Nelle vallate del Bruzzano e del Buonamico era praticata la viticoltura, per la produzione di vini di qualità destinati all’esportazione. Tutta l’area è collinare (circa 250 metri sul livello del mare) caratterizzata da terreni sciolti, con terrazzamenti (le armacie) contenuti da muri a secco, talvolta costruiti con grosse pietre irregolari a forma triangolare, secondo l’uso pelasgico.
Notevoli estensioni di vigneti erano nel territorio di Ferruzzano, in un’area di circa mille ettari, dove sono stati individuati 152 palmenti che affiorano a cielo aperto, usati fino a tempi recenti ed ora invasi dalla macchia mediterranea.
I palmenti raccontano la storia di un mondo contadino e pastorale, legato ad una cultura trasmessa oralmente che non ha potuto lasciare molte testimonianze scritte; illustrano il lavoro e le tecniche di trasformazione dell’uva, dal periodo greco ai nostri giorni.
Come attestano fonti storiche, il nome vero e proprio di “palmentum” lo si trova solo e con frequenza, in numerosi documenti medioevali del IX e X secolo dell’Italia meridionale, accanto a quello di “trapetum”, suo omologo per la preparazione dell’olio.
Il palmento tipo era costituito da due vasche scavate nella roccia arenaria, una superiore (buttìscu) ed una inferiore (pinàci), comunicanti attraverso un foro. L’uva versata nel buttìscu, il cui foro veniva otturato con argilla, veniva pigiata con i piedi e lasciata riposare per un giorno ed una notte; quindi, eliminato il tappo, si lasciava defluire il mosto nel pinàci.
(Fonte: Sebastiano Stranges)