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Riflessioni su Cesare Pavese

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“Tutte le donne di Cesare Pavese”  

Alcune circostanze ed i disastrosi avvenimenti ostacolarono un già timido rapporto col gentil sesso ma ciò non assopì l’emblematico bisogno che Pavese avvertiva, ovvero costruire un rapporto normale, duraturo con il quale utilizzare quel umano equilibrio discorde (uomo-donna) per “esorcizzare” la sua deriva interiore, quella che lui definiva “solitudine selvaggia”.
“Quel che è stato, sarà” Tre sono le donne che hanno inciso, quasi in senso chirurgico, nella vita di Cesare, segnandogli l’anima con tre ferite indelebili dove si riassumono tre sconfitte parallele sul piano di una impossibilità di matrimonio, di creazione di una famiglia, di paternità, di soddisfazione sessuale del partner; tre donne che portano con sé tre date di fallimento: 13 agosto 1937 – 25 settembre 1940- 26 novembre 1945. L’ulteriore, significativa, sconfitta si consuma nelle gelide nevi di Cervinia con Constance Dowling (Connie), l’attrice americana per la quale ha scritto molti soggetti cinematografici, che lo lascerà per un altro uomo, come già avvenuto con la donna dalla voce rauca, la prima della triade Tina,Fernanda,Bianca, segnando cosi: “l’eterno ritorno del dolore, della contorsione, della delusione, della fine della speranza” .

Una catena di riflessioni che avrà come unico sottotesto una semplice ma alquanto spiacevole domanda: Quale di queste donne poteva salvarlo?

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Battistina Pizzardo

Battistina Pizzardo detta Tina nasce a Torino il 5 febbraio 1903 è stata una matematica italiana ed attivista antifascista, dopo le ripetute persecuzioni politiche del regime che la costrinse a brevi periodi di prigionia in mezza italia,torna a Torino dove si guadagna da vivere impartendo ripetizioni private di matematica, conobbe Pavese nel 1933 tramite una comune amicizia, Leone Ginzburg altro letterato ed antifascista italiano, che li fece incontrare in uno dei soliti caffé in cui Cesare amava fumare la pipa e scrivere poesie, la Pizzardo visse il primo incontro con una sorta di timore e con grande riverenza, ai suoi occhi pavese figurava come un semidio, un poeta natio delle Langhe autore de “i mari del sud” ed ancora colui che tradusse quella tanto amata copia di Moby dick a riprova di ciò affermava “Non che io facessi confronti e neanche progetti, pensavo a Pavese con rapimento, perché un poeta, un artista era per me una sorta di superuomo che mai avevo pensato di poter conoscere ” ben presto però dovette ricredersi non appena Cesare palesò la sua fragilità interiore in netto contrasto ad una velata misoginia “le donne non contano”. Nonostante ciò Tina ebbe numerose altre opportunità per incontrarlo, occasioni che per poco non la fecero innamorare di lui, in “la mia storia con pavese” racconta un fortuito incontro col poeta sulle rive del Po, dove quest’ultimo era solito allenarsi vogando, lì Tina imparò a vogare sfidando invano le correnti del fiume che ovviamente sovrastavano la fievole forza impressa, scena che fece intenerire e sogghignare Pavese che subito riprese il comando dell’imbarcazione. I due si lasciarono con la promessa di rivedersi cosa che avvenne nel febbraio del 34, precisamente domenica 25,motivo dell’incontro erano le ripetizioni d’inglese che Pizzardo chiese molto tempo prima a Cesare, e fu cosi che tra le numerose letture di Hemingway e Lee Masters (anthology of Spoon river) Pavese ruppe gli indugi : “Siamo nella mia camera‒studio, dove ricevo allievi e amici, io semisdraiata sul divano‒letto, lui ai miei piedi, su uno sgabello. Il discorso scorre facile e divertente come le altre volte. Qualcosa che ho detto gli piace tanto che mi guarda ridente, incantato e subito si butta giù, nasconde il viso nelle mie mani. Indugia e io devo afferrargli il ciuffo per tirarlo su. Ancora ridente dice: «Ho paura che sto innamorandomi di lei»”. I due cercarono di consolidare questo flebile legame, lei 31 enne lui 26 enne ,Pavese teneva di gran conto la sua esperienza, ma malgrado ciò Il 5 marzo, esattamente otto giorni dopo il 25 febbraio (data dell’inizio), al tavolo di un caffè Tina lancia un Diktat “o amici o niente”, Cesare è distrutto, si dispera ,mortificata Tina gli rimarrà accanto per un breve periodo, nel 1935 si persero, entrambi vittime di una retata che mise agli arresti Tina e al confino Cesare per il possesso di una lettera della stessa indirizzata ad Altiero Spinelli noto antifascista. Conclusa questa disavventura ella si sposò con Henek Rieser il 19 aprile 1936 ,tornato a Torino e venuto a sapere del matrimonio Pavese ancora innamorato la implorò di divorziare, ovviamente l’invito rimase lettera morta ma imperterrito continuò il corteggiamento, Cesare gli donò il proprio diario personale, che Tina respinse, determinando cosi la conclusione di questo brevissimo amore.

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Garufi Bianca

Garufi Bianca nasce a Roma il 21 luglio 1918 da una famiglia aristocratica siciliana, è stata una scrittrice, poetessa e psicoanalista italiana, durante la seconda guerra mondiale anch’essa partecipa alla Resistenza accanto al comunista Fabrizio Onofri, in seguito abbandonerà il partito comunista a causa dei fatti d’Ungheria. Nel 1944 conosce Pavese a Roma, entrambi lavorano per la stessa casa editrice (Einaudi), e i due si trovano spesso a cena per parlare di letteratura, ma Cesare è spinto da una smaniosa curiosità per la psicoanalisi materia che Bianca stava studiando, ma è soprattutto la passione per il mito greco ad avvicinarli, nasce quindi sotto i migliori auspici questo sodalizio che produrrà oltre ad un lungo rapporto epistolare, anche un romanzo a quattro mani di cui il titolo è “Fuoco Grande” firmato da entrambi e pubblicato nel 1959, tra i due si fa spazio un sentimento “qualcosa di più che la passione”, che induce a sperare che la loro “storia” non “somigli alle altre che Cesare ha bruciato”, da questa grande affinità culturale nasce un fuoco strano, che alimenta una “Bellissima coppia-discorde”, Bianca esternava senza remore i suoi sentimenti, anche i più dolorosi, mentre pavese malcelava un timore verso le pratiche analitiche che scavano nell’anima, perché temeva un blocco nella creatività, contrariamente all’amata, che sosteneva che liberandosi dei turbamenti dell’anima si è più creativi e limpidi. IL lungo rapporto epistolare è di per se alquanto singolare, trova una spiegazione se approfondiamo il tema della spesso ostica comunicazione umana all’interno della coppia, dovuta perlopiù a caratteri assai diversi, quindi la lettera diventa la via per tentare una comunicazione più profonda, più intima, che risolva i problemi “del non detto o del difficile a dirsi” esempio di ciò sono alcuni estratti come: “Saprò diventare come vuoi. Devo diventarlo , perché non voglio che la nostra storia somigli alle altre che ho bruciato”, “combatteremo molto, combatteremo sempre, io trovo molto bello questo maltrattarci insaziabile”, “sei fiamma che scalda ma bisogna proteggere dal vento, una donna umile e superba, fatta d’ energia capace di procurare pura gioia.”, “sei capace di farmi guardare in faccia la mia anima”. Ahimè la “bellissima coppia discorde” si separa il 1 gennaio 1946,Bianca è dimissionaria dall’Einaudi, lasciando Cesare a Roma,inizia cosi quel lungo rapporto epistolare, a cui seguiranno lunghi anni di lontananza perché poche saranno le occasioni di incontro tra i due,si dipana cosi una corrispondenza affettuosa e aggressiva insieme, in piena coerenza col significato di Pòlemos (demone della guerra) che Cesare attribuiva al rapporto uomo-donna,l’infittirsi della corrispondenza risponde ad un già visto “bisogno” pavesiano, ovvero un ultimo disperato abbarbicamento alla donna amata.

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Pivano Fernanda

Pivano Fernanda, detta Nanda nasce in una famiglia che lei definiva vittoriana a Genova il 18 luglio 1917 è stata una scrittrice e traduttrice italiana, la sua formazione avviene a Torino dove frequenta il liceo classico Massimo d’Azeglio, ed è proprio li che avviene il primo incontro con Pavese avendolo come supplente di Italiano. Incanto, ammirazione si possono immaginare negli occhi di una Fernanda liceale rileggendo i Diari 1917 – 1973 (Bompiani) dove definisce Pavese il supplente “giovane giovane” di cui “ho lo straordinario privilegio di ascoltarlo mentre legge Dante, Guido Guinizelli, per renderli chiari come la luce del sole”,ma oltre ad essere un ottimo insegnante Cesare fu per la giovane studentessa una porta d’accesso privilegiata verso la letteratura americana perché grazie ai suoi consigli, scoprì Ernest Hemingway, Walt Whitman.Tra i due la passione comune per lo studio rimase segno forte anche quando si incontrarono di nuovo, nell’estate del ’38 tornato dal confino lo scrittore, già universitaria la Pivano, i due iniziano una fitta e particolarmente intima corrispondenza , soltanto alcune lettere son state pubblicate tra cui una dove lo scrittore già innamorato di lei, sprona la sua ex allieva allo studio e si preoccupa della sua “malinconia”, un sentimento di impotenza e frustrazione provato da tutti gli intellettuali italiani sotto il fascismo, ecco alcuni estratti: “..Mi preoccupa di più la sua malinconia e il tono di bestia condotta al macello da Lei assunto. Perché? È sola e disagiata?” “..non le sono vicino a farle prediche, ma gliele faccio da lontano, e tanto più meditate e inesorabili, Faccia sì che il primo incontro avvenga tra noi due soli, perché vorrò abbracciarla e baciarla.” Un giovane Cesare perdutamente innamorato e “geloso come un gorilla” di Fernanda quello che chiede per ben due volte la sua mano, nel 40 e nel 45 ricevendo in entrambi i casi un rifiuto, a testimonianza del rigetto vi sono le lettere custodite nell’ archivio Einaudi, lettere che la Pivano chiese che non venissero pubblicate e che da altre venissero espunte alcune frasi. Per lo scrittore, Nanda incarnava il suo ideale di donna, “preziosa in un essere ignorato”, ma che lo colpiva per l’intelligenza e la differenza dalle “ragazze qualsiasi”, ecco spiegata la tanta riservatezza di Fernanda, un tale animo non avrebbe mai tradito un rapporto tanto importante per qualche spicciolo di fama o qualche titolo di giornale.

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Constance Dowling 

Constance Dowling nasce a New York, 24 luglio 1920, è stata un’attrice statunitense molto in voga negli anni quaranta, prima di trasferirsi in California – nel 1943 – aveva lavorato come modella e ballerina di fila, insieme alla sorella Doris, anche lei attrice. Cesare e Constance si conoscono a New York nel 1937, quando lei, Connie, aveva solo 17 anni e fa la maschera nel Belasco Theatre sperando di diventare attrice. Capelli castano chiari con riflessi dorati, due occhi grandi da gatta, un’ andatura sensuale,gli anni passano ma lei ancora insegue quel sogno e nel 1947 si trasferisce con la sorella in Italia in cerca di fortuna, vive e lavora a Roma recitando in alcuni film italiani, fra i quali cui “Miss Italia” accanto a una giovane Gina Lollobrigida. Nel Capodanno 1950, Cesare riconosce Constance in casa degli amici Giovanni Rubino e Alda Grimaldi e Lì per lì non viene sfiorato dal suo fascino, ma quando in marzo la ritrova a Cervinia, ospite degli stessi amici, se ne innamora,attratto da tanta bellezza, terrorizzato dalle proprie possibili defaillance , perplesso da quell’aria da «high society» e di «glamour» che non gli appartengono, Connie per il poeta era la «donna venuta di marzo», bella e sensuale, lo «screziato sorriso» protagonista dell’ ultima tormentata passione di Cesare, “Battito, timore, infinito sospirare”, “incredibile dolcezza di lei” annoterà nel diario dopo le notti di Cervinia e di Torino, un amore breve e perduto nella notte fra il 26 e 27 agosto del 1950 perché Constance è già decisa a tornare in America, dato che anche in Italia i suoi sogni di gloria sono andati delusi. Nelle lettere che le invia a Roma non c’ è il solito Pavese sprezzante e autoironico, la prima del 17 marzo, è una dichiarazione d’ amore: «Cara Connie, volevo fare l’ uomo forte e non scriverti subito ma a che servirebbe? (…). Ebbene, mi succede che in questi giorni ridivento ragazzo (…). Ti amo. Cara Connie, di questa parola so tutto il peso – l’ orrore e la meraviglia – eppure te la dico, quasi con tranquillità. L’ ho usata così poco nella mia vita, e così male, che è come nuova per me». E chiude: «Sto lavorando per te». Nell’illusione di aprire loro una strada nel cinema italiano e di vederle recitare insieme, Pavese prepara un soggetto adatto a Connie e a Doris, si intitola Le due sorelle, ma Constance tace nel diario, Cesare annota: «Ho un carbone in corpo, brace sotto la cenere». E urla: « Oh COSTANCE perché perché?!». Durante l’ ultimo incontro, a Roma, Connie gli promette di tornare dopo due mesi, ma Pavese intuisce che il distacco è inesorabile,definitivo. Ne Il vizio assurdo Davide Lajolo riferisce una testimonianza dell’ amico Cesare risalente a quei giorni: «È scappata di notte dal mio letto nell’ albergo di Roma. Ed è andata nel letto di un altro». In una delle lettere più strazianti mai scritte Per lei ha composto in pochi giorni la suite poetica Verrà la morte e avrà i tuoi occhi , ma ora che Connie sta per partire, non c’ è più incanto: «Le poesie sono venute con te e se ne vanno con te» aggiunge di aver sperimentato, con lei, «l’ orrore e la meraviglia», le confessa di aver «disperatamente sperato» di sposarla («ma la felicità è qualcosa che si chiama Jo, Harry o John, non Cesare»), le chiede di non prendersela se continua a parlare di sentimenti che lei non può condividere. Dice di aver pianto tutta la notte «come un bambino» pensando alla propria sorte e anche a quella di lei, «povera donna forte abile disperata in lotta per la vita». Si sente il tono di voce nero e angosciato di chi si sta lasciandosi alle spalle l’ ultima spiaggia, forse la vita: «I pochi giorni di meraviglia che ho strappato dalla tua vita erano troppo per me – bene, sono passati, ora comincia l’ orrore, il nudo orrore e io sono pronto a questo»,ma Cesare la rassicura «Io ti perdono tutta questa pena che mi rode il cuore, sì, le do il benvenuto» e chiude per sempre: «Viso di primavera, io di te amavo tutto, non solo la bellezza, il che è abbastanza facile, ma anche la tua bruttezza, i tuoi momenti brutti». Seguirà un’ altra sola lettera, un mese dopo, in cui Pavese non parla più di amore ma di odio. Sembra aver riacquistato una certa ironia, ma nel diario annota: «è cominciata la cadenza del soffrire» e annuncia il «gesto», che «non dev’essere una vendetta».Pavese si lega a Doris, che lo assiste come una sorella: si confidano, si aiutano, insieme pensano ad altri soggetti cinematografici, proprio lei lo accompagnerà il 24 giugno alla serata finale dello Strega, ma a nulla servì quel prestigioso premio Il 17 agosto scriveva cosi sul diario: «Questo il consuntivo dell’anno non finito, che non finirò» e il 18 agosto aveva chiuso il diario scrivendo: «Tutto questo fa schifo. Non parole. Un gesto. Non scriverò più», il 27 agosto del 1950,si tolse la vita in una camera dell’albergo Roma di Piazza Carlo Felice a Torino. Connie muore nel 1969 secondo Lawrence G. Smith anche la Dowling si suicidò. Lo fece come Pavese, con le stesse modalità,una massiccia dose di sonniferi, certo è che il destino ha voluto che quell’ amore lacerato, venisse suggellato dallo stesso finale drammatico per chi lo aveva vissuto.

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Romilda Bollati

Romilda Bollati nasce a Parma nel 1932, figlia dei baroni Saint-Pierre fu un’imprenditrice di successo nel campo alimentare ed editoriale. Pavese si innamorò di lei, diciottene e bellissima, scrivendole quelle «lettere a Pierina» che sono state per molto tempo un piccolo mistero nella storia dell’Einaudi, perché lei dolce e riservata mantenne per quaranta anni il segreto di essere la Pierina (vezzeggiativo derivato dal suo cognome, Saint Pierre) di Pavese, la fanciulla che ama ballare e, a differenza di lui, ha il dono di vivere, a cui lo scrittore dichiarava di volere «un falò di bene». Pavese le scrisse due lettere e due biglietti, uno dei quali, pochi giorni prima del suicidio all’hotel Roma di Torino, il 27 agosto 1950. Soltanto nel 1990 Romilda rivelò di essere lei Pierina e nel ‘98 consegnò le lettere a Maria Corti per il Fondo Manoscritti dell’Università di Pavia”, Dei due biglietti il primo dice: “Ogni tuo ballo e’ un giorno in meno della mia vita. Me ne restano pochi” mentre il secondo recitava cosi “Cara Pierina, ieri sera rientrando mi sono visto allo specchio. Non lo sapevo di essere a questo punto. Sei stata molto buona a non dirmi il fatto mio prima. Devo aver fatto e detto molte stranezze e villanie ieri sera, in questi giorni. Mi accorgo che succede sempre mentre tu balli fra la gente … Perche’ tutto questo? dirai tu, e perche’ poi scrivermelo? Vedi, quando il discorso riguarda me e te io ho le mani legate, c’e’ una tale sproporzione di stati d’animo tra noi due, che le mie stesse parole mi ritornano in bocca e mi feriscono ….Penso che sia la musica in cui tu balli, a scavarmi dentro, a scrollarmi il sangue, a farmi fare la faccia feroce (ma e’ la faccia feroce di un suicida, non altro)”. Romilda viene a conoscenza del suicidio di Pavese tramite il fratello Giulio che severo le dice “Così impari a trattare il cuore degli uomini come barattoli vuoti”, un pugno allo stomaco per lei che definiva lo scrittore “diverso dagli altri, dolente e un po’ appartato, quando tutto il branco era impegnato nelle scorribande giovanili lui non prendeva parte alla bolgia, si eclissava nei suoi pensieri” continuando dice “ ripenso alle nostre uscite,io lavoravo allora nella moda e stavo lì ad annoiarlo con questioni di sartoria però lui si divertiva, la frivolezza per lui era come un balsamo”. L’ultima donna di Pavese si spegne a Torino il 21 aprile 2014. 

Ho piacere di concludere questo articolo sull’ultima donna di Pavese con poche righe tratte da una delle due lettere, praticamente uno degli ultimi pensieri che lo scrittore, già consapevole del suicidio, produsse prima dell’estremo gesto: “L’amore è come la grazia di Dio – l’astuzia non serve. Quanto a me, ti voglio bene, Pierina, ti voglio un falò di bene. Chiamiamolo l’ultimo guizzo della candela. Non so se ci vedremo ancora. Io lo vorrei – in fondo non voglio che questo – ma mi chiedo sovente che cosa ti consiglierei se fossi tuo fratello. Purtroppo non lo sono. Amore.”

 

FRANCESCO MICCU’

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